NEST e CNR-ISM, ricerca made in Italy: pannelli fotovoltaici subacquei pronti a scendere in profondità
Jessica Barichello, ricercatrice CNR-ISM: “Le celle a perovskite ci permettono di immaginare un fotovoltaico capace di funzionare anche a decine di metri di profondità. La ricerca è all’inizio ma le potenzialità sono molto promettenti”.
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a cura di: Fondazione NEST
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Settore: Ricerca
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Area tematica: Energy Emerging Technologies
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L’ente
L’Istituto di struttura della materia (ISM) del CNR con le sue 120 unità di personale distribuite territorialmente nelle sedi di Roma Tor Vergata, Montelibretti, Potenza, Tito Scalo e Trieste Area Science Park si occupa di ricerca di avanguardia in un ambito interdisciplinare tra fisica, chimica e scienza dei materiali. Le sue attività trovano applicazioni in settori quali energia, ambiente, sistemi di interesse biologico, dispositivi elettronici e magnetici e beni culturali.
Le attività spaziano dalla modellistica alla realizzazione prototipale di dispositivi passando dallo studio dei processi, alla preparazione e funzionalizzazione dei materiali, alla caratterizzazione delle loro proprietà strutturali ed elettroniche anche tramite lo sviluppo di nuova strumentazione e metodologie.
L’istituto è partner del progetto di ricerca NEST (NETWORK for ENERGY SUSTAINABLE TRANSITION) finanziato nell’ambito del PNRR dal Ministero dell’Università e della Ricerca.
Progetto NEST: ricerca e innovazione per la transizione energetica
Il progetto nazionale NEST (Network for Energy Sustainable Transition) è uno dei 14 partenariati estesi pubblico/privati finanziati dal PNRR e selezionati dal Ministero dell’Università e della Ricerca con l’obiettivo di rafforzare la filiera scientifica e tecnologica nazionale. NEST riunisce 24 partner:
12 Università, 4 centri di ricerca e 8 imprese su tutto il territorio nazionale.
Il Professore Maurizio Cellura, docente dell’Università di Palermo e responsabile scientifico dello Spoke1 ci spiega la rilevanza del progetto: «NEST si distingue come l’unico progetto di partenariato interamente dedicato all’energia e alla sostenibilità. La sua struttura è articolata in nove Spoke, ovvero gruppi di ricerca tematici che spaziano dal fotovoltaico alle bioenergie, dall’idrogeno all’offshore, fino ai materiali avanzati. L’approccio di NEST è quello di partire da TRL (Technology Readiness Level) bassi, permettendo di sviluppare idee e tecnologie a uno stadio embrionale e di accompagnarle attraverso la “valle della morte” che spesso ne blocca l’evoluzione verso applicazioni concrete. Inoltre, un focus trasversale del progetto è l’eco-design, volto a garantire fin dal principio soluzioni con minore impatto ambientale e con un’attenzione particolare al reperimento delle materie prime e all’impronta ecologica dei manufatti».
Fotovoltaico sott’acqua: pannelli innovativi
Nell’ambito del progetto è nata l’idea di esplorare il potenziale del fotovoltaico subacqueo. La ricerca è stata condotta utilizzando celle solari a perovskite, un materiale innovativo a film sottile capace di selezionare specifiche lunghezze d’onda da assorbire, in collaborazione con l’Università di Tor Vergata e BeDimensional Spa. Con l’aumentare della profondità marina, le lunghezze d’onda rosse vengono progressivamente assorbite, mentre continua a propagarsi soprattutto la radiazione blu-verde (400–600 nm), ideale per materiali come la perovskite FaPbBr₃. Per misurare la capacità di conversione radiazione luminosa in energia elettrica di pannelli fatti con questo tipo di materiale, i ricercatori hanno testato un sistema di incapsulamento con polimeri trasparenti e isolanti, sviluppati dalla BeDimensional Spa, in grado di sigillare il dispositivo e impedire sia il degrado in ambiente umido sia la dispersione di piombo, mantenendosi entro i limiti di sicurezza. I test in laboratorio hanno mostrato che, già a pochi centimetri sotto la superficie dell’acqua, i pannelli migliorano la loro efficienza grazie a due fattori: l’indice di rifrazione dell’acqua, che riduce la dispersione della luce incidente e ne aumenta l’assorbimento, e l’effetto refrigerante, che abbassa la temperatura del dispositivo e ne favorisce le prestazioni. La sperimentazione ha validato la tecnologia a livello TRL 4, aprendo la strada a sviluppi futuri.
Prospettive del fotovoltaico marino
L’innovazione proposta dal progetto porta benefici sia teorici che pratici. Da un lato, mette in discussione il paradigma del floating PV (fotovoltaico galleggiante), mostrando che un pannello fotovoltaico leggermente immerso può produrre più energia rispetto a uno galleggiante in superficie. Dall’altro, apre la possibilità di sfruttare l’energia solare anche in profondità, dove non è pensabile portare grandi infrastrutture: qui i dispositivi potrebbero alimentare sensori ambientali, sistemi di monitoraggio marino, droni subacquei e piccoli dispositivi autonomi. L’approccio rappresenta un modo per valorizzare un’“energia marginale”, ossia una risorsa rinnovabile finora non utilizzata in questo tipo di ambienti. Questa tecnologia, pur dovendo ancora affrontare sfide come il biofouling — l’accumulo di microrganismi sulla superficie dei materiali immersi che può ridurne l’assorbimento della radiazione — offre prospettive notevoli. La perovskite, infatti, in ambiente subacqueo non è esposta né a temperature elevate né a luce continua e, se ben incapsulata, può risultare addirittura più stabile sott’acqua che in superficie.
In prospettiva, grazie anche alla possibilità di applicare le perovskiti su supporti flessibili, si possono immaginare soluzioni adattabili a diversi scenari, dall’acquacoltura alla ricerca scientifica marina, rafforzando al tempo stesso il ruolo dell’Italia nella filiera fotovoltaica di nuova generazione.