L'equivoco dell'Open Innovation
L’anno scorso ci eravamo proposti di capire quanto l’open innovation fosse effettivamente diffusa in Italia.
Insieme a SMAU avevamo chiesto alle aziende del nostro Paese di compilare il nostro tool di analisi che utilizziamo a livello internazionale. Al di là delle grande aziende (e ad eccezione di alcune aree che avevamo coperto attraverso progetti specifici quali quello con Confindustria Emilia) non abbiamo avuto un grande riscontro da imprese di media e piccola dimensione che, tra l’altro, sono la stragrande maggioranza del nostro tessuto industriale.
Mi sono chiesto il perché.
Posto che non ho una risposta certa, credo che il problema di fondo sia legato al ![]() La sensazione è che la gran parte delle aziende non abbia un’idea precisa (perdonatemi il gioco di parole) di cosa significhi realmente open innovation. E quindi naturalmente in molti si sono ritratti di fronte alla proposta di capire a che punto fossero su qualcosa che risultava un po' confuso. ![]() L’innovazione italiana è storicamente frutto di co-progettazione e collaborazione con aziende terze (fornitori, se volete un termine non più alla moda). Ciò è ancora più vero per le PMI che, per dimensione, non hanno mai potuto permettersi di fare ricerca e sviluppo al proprio interno. La differenza – se c’è una differenza – è:
Mi spiego: ![]() I soggetti sono le startup che, se è vero che sono aziende come le altre, sono imprese molto particolari. Sono un insieme vastissimo (l’orizzonte di riferimento è di necessità globale, difficile fare scouting sotto casa) e molto dinamico (nel senso che evolvono, in una direzione – fallimento – o nell’altra – crescita esponenziale). Indi di difficile mappatura per un ufficio acquisti.
![]() Il modo con cui si cercano le startup è diverso. Raramente si parte da un bisogno preciso e ben definito (su cui costruire una bella gara di appalto). Nella maggior parte dei casi si parte da aree di interesse piuttosto ampie e lentamente - a mano a mano che si incontrano possibili soluzioni, alias startups - si arriva ad identificare dove e cosa si può innovare. Quindi una prospettiva quasi rovesciata.
Vanno quindi appianate le barriere (principalmente culturali) per portare l’open innovation nell’agenda delle attività normali di impresa. Perché innovare non può essere una attività straordinaria. Piuttosto sarebbe straordinario (oltre che pericoloso) non farlo. ![]() Quindi – visto che arrendersi non fa parte del nostro vocabolario - anche quest’anno, insieme a SMAU, richiederemo alle imprese italiane di ogni dimensione e settore di testare quanto stanno facendo in ambito open innovation. Tutte sono chiamate a farlo. Perché tutte - più o meno – stanno già facendo open innovation, sebbene la maggior parte lo faccia a loro insaputa – tipico vizio italiano – e in modo migliorabile.
(richiede dodici minuti). Vi aspettiamo numerosi!
A tutti faremo avere i risultati (in modo aggregato e anonimo all’apertura di SMAU Milano a ottobre) e a ciascuno (in via ovviamente riservata) un report di assessment con benchmarking, suggerimenti e raccomandazioni.
Dimenticavo. Chi deve farlo in azienda? La persona che si occupa di innovazione/ricerca, per le poche aziende che hanno una figura dedicata. Per le altre, la proprietà, il management o il responsabile dell’ufficio acquisti o del reparto tecnico. ![]() ![]() Smau Academy è la piattaforma gratuita per la formazione e l’aggiornamento professionale per la tua impresa con oltre 1.000 workshop all’anno, un canale iTunes e un sito web, www.smauacademy.it, dove trovare i workshop di maggior successo del Roadshow Smau.
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